Dopo la notte passata a Pec, dopo aver fatto rifornimento di medicinali e viveri e di una latta d'olio di emergenza, ci siamo rimessi in marcia sul lungo stradone che attraversa il Kosovo, alla volta del Montenegro. L'ultimo tratto di questo stato lo abbiamo percorso tra tortuose strade montane in direzione di una piccola frontiera in direzione Rozaje. Una breve sosta per rifocillarci prima delle frontiera è stata la cosa più naturale da fare poco prima dell'ora di pranzo. Si respira aria di casa: il paesaggio è simile a quello del mio Abruzzo, come ho potuto constatare in tante altre mete di questo viaggio:
Arrivati alla frontiera, ci attendono i soliti controlli di rito a cui siamo stati sempre sottoposti durante il viaggio (una volta usciti dalla Grecia): passaporti, carte di assicurazione, perquisizioni dell'auto. Questa volta sono stati molto scrupolosi, visto che stiamo attraversando quella che loro chiamano "red line": la piccola Panda perciò è finita sul ponte per un'ispezione del pianale, scansionata a livello delle portiere per vedere se ci fosse stato qualcosa nascosto dentro, sempre ovviamente con esito negativo. A quanto pare su quella piccola frontiera vengono spesso contrabbandate armi. Devo dire però che le guardie kosovare sono state molte educate nell'esercizio del loro mestiere, davvero. Ecco. Ora abbiamo passato il Kosovo. Il paesaggio cambia nel giro di qualche centinaio di metri. Si percepisce questo cambio, non saprei nemmeno spiegare perchè. Il Montenegro sembra una piccola svizzera, con i suoi monasteri, le masserie piantate nel mezzo di prati verdissimi con le mucche al pascolo e piccoli gruppi di bambini biondissimi che tornano verso casa dopo scuola. Mi sembra di vedere Heidi che corre felice su quei prati. Vogliamo arrivare a Podgorica e ci riusciamo nel tardo pomeriggio.
Arrivati nella capitale ci sistemiamo in una pensione: L'Europa. Una buona sistemazione, vicinissima al centro, che ci permette di far riposare la macchina mentre noi, dopo una buona toletta, sgambiamo un pò per la città. Ci fermiamo nella parte vecchia per mangiare un hamburger. L'oste riconosce che siamo italiani e ci incalza con qualche battuta sulla mafia, su Berlusconi, sugli Spaghetti. Gli rispondo che nemmeno loro se la sono passata troppo bene fino a poco tempo fa. Ci chiede che strada abbiamo fatto e quando gli spiego che veniamo dal Kosovo, ci apostrofa dicendo che quello stato non esiste, ma fa parte della Serbia. Faccio finta di non capire quello che dice ed usciamo fuori per trovare posto in una specie di bar dove scoliamo un paio di birre prima di tornare in hotel per riposare. Molti dissapori, in quelle terre, non si sono estinti. Sono stati messi solo sotto un leggero strato di sabbia.
La mattina seguente sto bene. Posso riprendere la marcia e dopo una buona colazione, una nuova spesa ed il pieno all'auto, puntiamo il muso verso la Bosnia. Prima però facciamo una capatina verso una sponda del lago di Scutari (in realtà una piccola ansa) e percorriamo una caratteristica strada:
Di li a poco il cartello di saluti montenegrino ci ricorderà che la prossima frontiera sarà quella con la Bosnia Erzegovina.
Qui il nostro programma era di arrivare a Sarajevo, quindi proseguire per Mostar, passare per Medjugorie ed entrare in Croazia. Le guardie alla frontiera però non erano molto d'accordo con il nostro piano, a quanto pare. Per loro la nostra carta verde non era valida e l'ufficio delle assicurazioni era magicamente chiuso tutta la giornata, forse anche per il giorno dopo. Inoltre si domandavano perchè avessimo attraversato così tanti stati in "pochi giorni", perchè in Kosovo e da dove ci eravamo entrati. Obiettano che sul mio passaporto non sono stati segnati tutti gli ingressi (in Kosovo non mi avevano messo il timbro in entrata, in Macedonia nessuno dei due) e quindi non capivano come ero arrivato lì. Gli spiego per l'ennesima volta il mio tragitto fino a quel momento. Sembrano capire. In realtà quello che non aveva capito fino a quel momento ero io. Un "vecchio" poliziotto si avvicina e mi fa capire che devo dare qualcosa oltre i documenti per avere il timbro. Afferro il concetto ed ottengo il mio visto (controllando bene mi renderò conto che sul mio passaporto metteranno due timbri in uscita, su due pagine diverse con due codici diversi). Il guardiano però ci dice: "No Sarajevo. Mostar, Medjugorie and tomorrow you leave Bosnia". Così, un pò amareggiati facciamo il nostro ingresso a Trebigne:
La luce che filtra da queste foto, decadente, crepuscolare rispecchia esattamente il nostro stato d'animo in quel momento. Un piccolo gazebo ci offrirà comunque riparo per una veloce rifocillata. Nel profondo di me stesso non vedo l'ora di lasciarmi la Bosnia alle spalle e me ne dispiaccio molto. Era tanto tempo che volevo visitarla. A parte lo spiacevole evento passato da cui non mi lascio influenzare troppo, dovrò constare che queste terre portano ancora vive le ferite della guerra. Un conflitto finito, ma che ha lasciato segni di sangue e pietra ovunque. Non c'è angolo in cui non sia presente una lapide, un cartello di guerra, un segno del conflitto. Perfino alcune case hanno ancora le feritoie alle finestre o i fori di una smitragliata. Una vecchia signora fa capolino nel suo piccolo giardino, seduta, con una protesi al posto della gamba.Non mi sento molto a mio agio. Non mi sento molto al sicuro a pensare a tutto questo. Nel frattempo viaggiamo ed incrociamo una decina di camion ex militari che ci saltano quasi addosso, lungo quelle piccole e malmesse strade.
Mi sembra quasi di trovarmi all'interno della "Zona", come la si può vedere nel videogioco S.T.A.L.K.E.R.
Velocemente arriva la notte e non abbiamo ancora trovato una sistemazione. La mia soglia di attenzione si alza a dismisura. Sono concentratissimo mentre guido nella notte bosniaca. Sorpassiamo un crocevia abbandonato presidiato da due fabbricati in blocchi di calcestruzzo a cui non hanno mai richiuso i fori di proiettile. Mi sembra di scorgere veloce un cartello rosso, al limitare del bosco, che recita un minaccioso "MINE". Facciamo un salto a Mostar, ma la città a quell'ora e con la stanchezza che abbiamo ci sembra inaffrontabile. Ripieghiamo perciò verso Medjugorie con il programma di vistare Mostar all'indomani. Sarà una scelta vincente ed il letto che troviamo sarà dei più comodi che si possano immaginare. Mi addormento pensando a come sarà la visita di domani, a cosa staranno facendo in quel momento i miei cani. L'ultima cosa che vedo è la copertina del libro "Il Re in Giallo" che avevo intenzione di leggere per prendere sonno...
Per ora vi lascio così, nel cuore della Bosnia. Appena mi sarà possibile inserirò l'altra parte e nuove foto. Questa è la tappa che abbiamo in parte percorso da quella precedente: