da maxsisley » venerdì 13 febbraio 2009, 14:20
Da Internet
La piccola utilitaria Fiat nacque nel 1980. Doveva servire a rilanciare la Fiat nel settore nel quale l’azienda torinese da sempre è maestra: quello delle piccole utilitarie. Nonostante i restyling, la 126 (1972) e la 127 (1971) cominciavano a segnare il passo e la rivoluzione Uno sarebbe arrivata solo tre anni dopo. Forte sostenitore del progetto fu Carlo De Benedetti, nella sua breve parentesi al vertice della Fiat.
Il disegno della carrozzeria e degli interni si devono a Giugiaro, che ormai si era affermato non solo come designer di automobili ma anche come partner delle case automobilistiche nello sviluppo di un progetto. E appunto a Giugiaro chiesero di realizzare una piccola vettura, economica da produrre e da mantenere. Le linee guida del progetto furono semplicità e praticità. Semplicità significò, ad esempio, l’adozione dei vetri piatti (intercambiabili sul destro e sinistro), delle saldature a vista sul tetto, le sospensioni posteriori a balestre, ricoperte da una guarnizione, i sedili realizzati con una intelaiatura tubolar ricoperta di tessuto, il largo impiego della lamiera a vista all’interno dell’abitacolo e soprattutto la mitica tasca a marsupio al posto della plancia, con la strumentazione e i comandi riuniti in un unico blocco. Praticità significò, ad esempio, la cerniera della portiera anteriore a vista (coperta da un pezzo di plastica) che permetteva un maggiore angolo di apertura della porta e le fiancate dipinte nella parte bassa con una vernice resistente ai graffi. A dire il vero non tutte le soluzioni proposte da Giugiaro trovarono la strada della produzione in serie. Ad esempio il meccanismo degli alzacristalli venne sostituito con uno convenzionale.
A questo si aggiunse un altro aspetto: modularità. La Panda fu la prima vettura italiana di grande diffusione con gli interni trasformabili come solo le più recenti monovolume sanno fare. La panca posteriore poteva diventare all’occorrenza una culla, la base di un letto e poteva essere rimossa per sfruttare al massimo lo spazio.
Se le soluzioni adottate per la carrozzeria e gli interni erano innovative per Fiat e più vicine alla mentalità francese (Citroen 2 CV e Renault 4) per quanto riguarda la meccanica si decise di andare sul sicuro puntando su due "cavalli di battaglia" del gruppo: il bicilindrico in linea raffreddato ad aria da 652 cc di derivazione 126 e il quattro cilindri in linea ad aste e bilanceri che equipaggiava 127 e A112. Lodevole, per quegli anni, la possibilità di offrire la scelta della motorizzazione anche in una utilitaria. Le due versioni vennero indicate con i numeri "30" e "45", che indicavano la potenza del motore.
La vettura piacque fin da subito. A dire il vero all’inizio a qualcuno sembrò un po’ "fragile" e spartana, ma questi timori furono ben presto superati. L’unico problema serio che afflisse i primi esemplari era l’infiltrazione d’acqua dalle bocchette di ventilazione dinamica alla base del parabrezza, che Fiat risolse rapidamente modificando il disegno delle prese esterne e prolungando il tubo di drenaggio. Per il resto la vettura si rivelò affidabile e robusta. Anzi, a molti apparve chiaro che la semplicità delle finiture era spesso solo più apparente che reale, nel senso che i risparmi erano stati fatti a scapito dell’estetica ma non della robustezza e della funzionalità. Le prestazioni offerte dal motore bicilindrico erano per forza di cose limitate e la rumorosità elevata (aumentava ancora di più accendendo il riscaldamento), ma più che sufficienti per l’uso urbano. La versione 45, con il 50% di cavalli in più, poteva affrontare senza grossi patemi anche i trasferimenti autostradali. Fino all’avvento della Uno, la Panda divise con la Ritmo il primato di vettura più venduta in Italia.
Sui mercati esteri Fiat commercializzava la 45 prodotta in Italia e la 34 prodotta in Spagna dalla SEAT. Quest’ultima era identica alla versione italiana e veniva commercializzata come Seat o Fiat a seconda dei mercati. Montava un quattro cilindri da 848 cc derivato da quello della Seat 133, che a sua volta veniva dalla Fiat 850.
Nel 1982, per rispondere alle esigenze della clientela che chiedeva maggiore comfort, venne presentata la versione 45 super, che montava il cambio a 5 marce. Le finiture erano più curate e i sedili meglio imbottiti. Si poteva finalmente avere la vernice metallizzata. La Panda 45 Super tenne a battesimo il logo Fiat con le cinque barre, che avrebbe caratterizzato i modelli della casa per i successivi vent’anni. L’allestimento Super venne in seguito esteso alla versione 30 che, soprattutto dopo l’introduzione della "Uno", era la preferita dalla clientela.
Nel 1983 venne presentata la versione 4x4, realizzata in collaborazione con l’austriaca Steyr Puch. La trasmissione integrale si innestava tirando una leva sul tunnel. Coerentemente con lo spirito del progetto era estremamente semplice, mancando il differenziale centrale, poteva essere usata solo fino a 60 km/h. Il motore era il 965 cc dell’A112 Elite, mentre il cambio era quello a 5 marce della versione normale ma, in virtù di un rapporto al ponte più corto, diventava un quattro marce con una prima molto corta. La versione 4x4 divenne l’acquisto ideale per chi abitava in montagna. Grazie alla leggerezza della carrozzeria era l’ideale per spostarsi sulle strade innevate, dove fuoristrada più con trasmissioni molto più sofisticate spesso si piantavano.
Nel 1986 giunse l’unico restyling significativo. All’esterno i cambiamenti riguardarono soprattutto il disegno dei paraurti, la parte bassa delle fiancate, la mascherina e ilportatarga, che venne integrato nel paraurti. La rivoluzione più significativa fu a livello meccanico, i vecchi motori lasciarono il posto alle moderne unità della serie "Fire", proposte in due versioni, da 34 (767 cc) e 45 (999 cc) cavalli. Cambiava anche la denominazione, le due versioni divennero note come "750" e "1000". Gli allestimenti erano L (rimpiazzato poi da Young), CL e Super.
Più tardi fecero la loro ricomparsa i motori ad aste e bilanceri derivati dal 903 cc: un 767 cc da 34 cavalli derivato dal 903 cc (riservato alla versione d’ingresso "Young" e abbinato al cambio a quattro marce) e un 899 cc da 40 cavalli (cilindrata e potenza scelte per rientrare negli scaglioni fiscali ed assicurativi di alcuni paesi). La versione 4x4 in seguito passò al Fire 1108 da 50 cavalli, il motore più potente montato sulla vettura e praticamente l’unico negli ultimi anni di produzione, quando le normative antinquinamento imposero l’abbandono prima dei motori più piccoli e poi del glorioso aste e bilanceri da 900 cc, che aveva fatto il suo esordio quasi cinquant’anni prima sulla ’600.
Altre due versioni degne di nota furono la Diesel, equipaggiata con il 1300 aspirato della Uno ma depotenziato a 37 cavalli e la Selecta, che invece montava il 1108 Fire. La versione Diesel era stata introdotta in risposta alla "febbre da gasolio" dei primi anni ’80. In realtà la versione a gasolio aveva costi chilometrici superiori alla 750 a benzina, a causa del prezzo di acquisto e della differenza di cilindrata. Diventava conveniente solo per percorrenze annue dell’ordine dei 50 mila km. Non appena la moda passò, venne tolta dal listino e oggi è praticamente introvabile. La versione Selecta montava il cambio CVT della corrispondente variante della Uno. Fiat era stata pioniera nell’introdurre questo tipo di trasmissione. Non fu un successo, il che era in un certo senso prevedibile, vista la diffidenza degli automobilisti italiani per le trasmissioni automatiche. A complicare le cose, la rete di assistenza spesso mancava delle competenze per intervenire su una trasmissione che a quei tempi era veramente innovativa.
Il restyling del 1986 coinvolse significativamente gli interni. I sedili tubolari vennero rimpiazzati con altri tradizionali. Rimasero per un certo tempo sulla versione base "750 L" e sparirono quando questa venne sostituita dalla "Young". La vettura perse molta della sua praticità e flessiblità (la panca posteriore era solo ribaltabile) ma guadagnò in comfort. La plancia rimase quella a marsupio, con un blocco strumentazione e comandi più grande e dal disegno più moderno. La versione 4x4 poteva montare un inclinometro. I tappeti in gomma lasciarono il posto a quelli in moquette e venne migliorata l’insonorizzazione dell’abitacolo.
In questa forma la Panda giunse quasi immutata al 2003, anno in cui venne cessata la produzione. Nel 2000 festeggiò i vent’anni e conquistò il record di modello Fiat prodotto più a lungo. La vettura visse il suo momento migliore nella seconda metà degli anni ’80, quando una versione 750, nei vari allestimenti Young, CL e Super era la più diffusa seconda macchina di famiglia, usata era la classica "palestra" per neopatentati ed era molto ricercata dal pubblico femminile che non poteva (o non voleva) acquistare una Y10 o una Uno. In quel periodo la Panda non aveva solo l’immagine di vettura economica, ma rappresentava una vera e propria "filosofia", quella di chi badava alla sostanza e non voleva seguire le mode. Accadeva così che venisse acquistata e mostrata con orgoglio anche da persone che avrebbero potuto permettersi vetture molto più grandi e lussuose.
Paradossalmente la Panda per un lungo periodo a cavallo tra gli anni ’80 e ’90 subì la concorrenza di "sè stessa". La decisione di Fiat di abbandonare la spagnola SEAT dopo una partnership durata parecchi decenni, permise a SEAT di commercializzare la Marbella, che era una Panda prima serie modificata leggermente nella carrozzeria e negli interni. La Marbella ebbe un discreto successo e venne commercializzata anche in Italia. Nel frattempo SEAT passò nell’orbita Volkswagen e in seguito la vettura venne sostituita dall’Arosa, frutto dello stesso progetto della Volkswagen Lupo.
Negli ’90 le vendite andarono lentamente calando, anche perchè Fiat progressivamente smise di commercializzarla in alcuni mercati. Rimase comunque tra le vetture più vendute in Italia, nonostante la concorrenza della più moderna Cinquecento (1992), diventata poi Seicento e nonostante Fiat avesse da tempo rinunciato a sostenere il modello attraverso campagne pubblicitarie. Un risultato sorprendente, per una vettura che non offriva nessuno degli optional, come climatizzatore, servosterzo, airbags, ABS che in quegli anni si stavano diffondendo anche sulle utilitarie. Unica concessione al "lusso" fu l’introduzione dei vetri elettrici e della chiusura centralizzata sull’allestimento più costoso. In molti attribuiscono questo successo al prezzo basso. La Panda era la vettura nuova meno costosa in assoluto. In realtà il prezzo basso era la motivazione all’acquisto solo per una piccola parte degli utenti. Per gli altri "la Panda era semplicemente la Panda", una macchina onesta, che non promette quello che non può dare. Lo slogan pubblicitario di tanti anni prima "Panda, se non ci fosse bisognerebbe inventarla" era diventato realtà, la Panda poteva vantare un tasso di fedeltà della clientela incredibile per una utilitaria popolare.
E’ curioso constatare come, con il passare degli anni il baricentro delle vendite si fosse spostato. La Panda si vedeva sempre meno nelle grandi città, dove la gente più facilmente segue le mode, mentre continuava a restare un cavallo di battaglia dell’Italia di provincia.
La piccola utilitaria era e continua ad essere la preferita (nella versione 4x4) della gente che abitava in località di montagna, che non voleva spendere una fortuna in una moderna fuoristrada, quando tutto quello di cui ha bisogno è una macchina che non si pianti dopo una nevicata. Era e continua ad essere la la preferita di tutte quelle persone abituate a dare il valore ai soldi, quelli che si chiedono se valga la pena di spendere decine di migliaia di Euro per acquistare una vettura con la quale fare poche migliaia di chilometri l’anno. Quelli che vogliono una macchina semplice, perchè quello che c’è non si rompe e non ha bisogno di manutenzione. Quelli che vogliono una macchina che si possa strapazzare, con la quale si possa affrontare una strada di campagna senza fresare spoiller e sottoscocca sulle pietre e nella quale ci si possa caricare un sacco di cemento, un paio di stivali infagati o l’attrezzatura da pesca senza paura di rovinare gli interni. Per tutti questi, e per tanti, tanti altri, la Panda era quello che ci voleva.
Purtroppo tutte le cose belle hanno una fine. Anche se il mercato dimostrava ancora di voler gradire la Panda, anche se alle normative sulle emissioni si sarebbe potuta adeguare con modifiche alla meccanica, la carrozzeria progettata alla fine degli anni ’70 non sarebbe stata più in grado di soddisfare le normative sulla protezione degli occupanti in caso di incidente. Fu così che nell’estate del 2003 la piccola Fiat ci ha lasciato. In 23 anni ne sono state prodotte più di quattro milioni, quasi tutti gli italiani che oggi hanno più di vent’anni nella loro vita sono saliti su una Panda. Anche se solo da passeggeri, hanno visto il mondo da quel parabrezza piatto con il tergicristallo monospazzola, hanno appoggiato qualcosa nel marsupio. Quelli che fumavano hanno apprezzato il posacenere spostabile, che si poteva tenere sul lato sinistro del marsupio, visto che in macchina la maggior parte della gente fuma con la mano sinistra. Quelli che non fumavano lo hanno usato per tenerci la monetina da 500 lire o da un Euro da usare per prendere il carrello della spesa al supermercato. E quelli (sfortunati) che hanno bucato, hanno apprezzato che la ruota di scorta e gli attrezzi fossero nel vano motore, dove non occorre svuotare il baule per recuperarli. Una macchina che ha "ha fattto l’Italia" non solo sulle strade, ma anche nelle fabbriche, visto che è stata prodotta in numerosi stabilimenti Fiat, compreso quello ex-Autobianchi di Desio, che oggi non esiste più. Non sorprende sia diventata un mito, sia in Italia che all’estero (Giappone compreso). E non sorprenderà di vederne girare ancora tante sulle nostre strade, così come non sorprenderà che una Panda usata trovi sempre qualcuno disposto a comprarla e prendersene cura.
Prima di lasciarci, la Panda ha passato il testimone alla sua erede, quella Nuova Panda che, nononstante sia più grande, più lussuosa, meglio rifinita, prodotta in Polonia e non in Italia, della precedente non ha perso una cosa: la simpatia, l’immagine positiva che quel nome di cinque lettere porta con sè.