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Dopo la notte passata sul sacro suolo di Medjugorie, di buon ora sono sceso per preparare l'auto ad una nuova sfacchinata. Dopo un veloce giro per le vie del paese, ci siamo diretti a Mostar per visitare un pò la città prima di prendere la strada per passare il confine ed entrare in Croazia. In venti minuti siamo arrivati. La prima tappa che voglio bruciare è la "Snipers Tower", un palazzo di diversi piani in un punto nevralgico della città. E' tristemente famosa poichè durante la guerra dei balcani era costantemente presidiata da cecchini che facevano fuoco su qualunque cosa si muovesse nel raggio di tiro delle loro armi, senza alcuna distinzione. Parcheggio l'auto nei pressi dell'edificio.

Come vedete le strade ed i camion bosniaci hanno un pò provato la povera Panda. Resterà in queste condizioni per tutto il viaggio di rientro e ancora per una settimana, dopodichè mi deciderò a lavarla e liberarla dalla polvere balcanica.
La Snipers Tower è minacciosa. Svetta su tutto il circondario con la sua aria tetra. Fa una certa impressione immaginare come doveva essere in tempo di guerra. Un brivido mi percorre la schiena.

Decido di fare due passi nella zona. Cerco di immedesimarmi in un qualunque cittadino che doveva attraversare la strada mentre qualcuno gli scaricava addosso caricatori interi. Forse qualunque è rimasto a terra nell'impresa. Forse qualcuno si è nascosto in quelle siepe aspettando il momento giusto per uscire. I segni della guerra sono visibili a tutti.



La guerra è stata di casa in queste terre e ho tutta l'impressione che non se ne sia completamente andata. Le persone fanno colazione nel centro della città, proprio dove una vola si combatteva uomo contro uomo. Una bomba ha squarciato un palazzo e la ferita non si è mai rimarginata o forse l'hanno impedito in maniera tale che tutti potessero ricordare la follia di quei giorni.

Mostar grida libertà, ma lo fa nella memoria di una guerra sanguinosa, dell'orrore, delle differenze culturali che c'erano e che ci sono ancora e che nonostante tutto nessuno vuole cercare di superare, mostrando con rancore e paura le ferite che ancora fanno male. O almeno questa è la mia impressione. Facciamo una visita al famoso ponte.

Poi, riprendiamo l'auto, la polvere, la strada e tutti i pensieri che ci portiamo dietro e puntiamo senza indugio verso la frontiera. La Croazia ci aspetta. Alla frontiera, il controllore bosniaco non controlla nulla e speriamo che questa volta l'ingresso sia veloce e indolore. In realtà sarà il controllo più lungo del viaggio. L'agente croato ci fa accostare in un piccolo spazio alla dogana ed altri tre iniziano la perquisizione. Una stupenda valchiria croata vestita da poliziotta prende a tempestarmi di domande su dove andiamo, da dove veniamo, che lavoro facciamo, perchè vogliamo entrare in Croazia. Rispondo a tutto mentre immagino di aspettarla a fine turno, per portarla via. Controlla tutto: medicine, libri, biancheria, articoli da toletta, scarpe, cibo. Tutti i portaogetti dell'auto, chiedendo per ogni cosa trovata il motivo per cui fosse lì. Controlla perfino il mio libro degli appunti, con i disegni fatti lungo il viaggio. Mi chiede se mi piace disegnare ed io rispondo di si...Quanto mi sarebbe piaciuto farle un dipinto Dio solo lo sa...Controllano il nostro itinerario, apostrofandoci per come pronunciamo i nomi delle loro città. Ci lasciano proseguire, ma prima vogliono sapere perchè i passaporti sono diversi. Il contenuto del mio a pagina 3 è diverso da quello del mio compagno di viaggio. Gli spiego che sono stati emessi in anni diversi e forse è cambiato il formato. La barra si alza e noi entriamo in Croazia. Una stele di un cimitero romano ci saluta all'ingresso, aprendo un nuovo capitolo che presto vi racconterò.
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